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Secondo una ricerca dell’Osservatorio Multicanalità del Politecnico di Milano, negli ultimi 12 mesi, per otto italiani su dieci il digitale ha avuto un ruolo nel percorso che li ha portati all’acquisto di un bene fisico. Basta questo dato per comprendere quanto la riuscita del mix tra negozio e presenza online rappresenti un obiettivo che il settore retail tricolore non può permettersi di mancare.

La parola d’ordine è dunque multicanalità (in maniera più ampia cross-canalità e omnicanalità), cioè quello spazio formato da più canali, tipicamente online e offline, che consente un’interazione integrata tra il cliente e la marca, arricchendo il percorso d’acquisto con una direzione che può essere quella che dall’online conduce al negozio fisico, ma anche viceversa, tanto da essere uno spazio percepito come un’esperienza d’acquisto unitaria. In un contesto del genere, la definizione di punto vendita risulta ormai decisamente stretta, poiché in tale contesto il negozio rappresenta e propone qualcosa che va ben aldilà di una semplice fila di scaffali che precede le casse.

“Lo spazio fisico non tramonterà”, assicura Stefano Cini, Director Marketing Analytics di Nielsen, nel corso di un’intervista rilasciata al magazine online RetailUp, “ma bensì a questo spazio verranno richieste attività e servizi diversi da quelli che sta fornendo oggi. Il consumatore non è interessato a trovare nel negozio fisico quello che ha ricevuto finora online. Da qui il tema della re-destinazione degli spazi fisici, che devono trovare un nuovo ruolo”.

Un’evoluzione che diviene implicita nella definizione Retail 4.0, la quale è stata coniata per indicare l’avvento nel settore dell’omincanalità, intesa come doppia vita analogica e digitale, soprattutto attraverso la business intelligence, che monitorando e analizzando web e social media, permette di anticipare le esigenze della domanda adattando produzione e distribuzione dei prodotti in tempo reale, garantendo così tempi di consegna rapidi online e la disponibilità del prodotto nei negozi.

Nell’intervista realizzata da RetailUp, Cini fa poi riferimento all’effetto spill over, cioè quel fenomeno per cui un’attività economica volta a beneficiare un determinato settore o una determinata area territoriale produce effetti positivi anche oltre tali ambiti. Nel caso del retail, se la propensione all’acquisto online è maggiore in altri settori, chi acquista sul Web o da un’applicazione mobile è però poi il medesimo che va anche a fare la spesa nei centri commerciali e come sottolinea Cini, “nel largo consumo c’è una percentuale di consumatori che ha adottato il digitale, per esempio nel pre-acquisto (consultazione di offerte digitali o consegna della spesa online)”.

Uno scoglio per la rapida adozione del  digitale nel settore retail è rappresentato dall’ultimo miglio, che può essere particolarmente costoso, ma, spiega ancora Cini, “i punti vendita devono riqualificarsi. Ci sono diversi esempi di collaborazioni tra retail e startup che lavorano nella gestione dell’ultimo miglio. In futuro sarà utilizzata la robotica”.

Per quanto riguarda il commercio elettronico, secondo Cini, l’approccio deve essere ‘laico’: “L’ecommerce non è per tutti, non deve nemmeno esserlo, non è un nuovo modo per distribuire prodotti. È la risposta al bisogno di un target. È sbagliato prendere posizione a favore o contro l’ecommerce, non è né buono né cattivo. D’altra parte non si può andare contro il futuro”.

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Photo by Christian DeKnock on Unsplash
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